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Una ricerca moderna non ha bisogno della sperimentazione animale

Aggiornamento: 3 gen 2020

Riportiamo interamente il commento della dott.ssa Costanza Rovida, apparso su La Stampa sabato 23 novembre in risposta all’articolo dello scorso 18 novembre a firma di Maria Berlinguer e intitolato: “Esperimenti senza animali così l'Italia rischia grosso”. Costanza Rovida è attualmente responsabile del Regulatory Affairs presso il Center for Alternatives to Animal Testing (CAAT) (Konstanz University in Germania). Condividiamo quanto affermato dalla dott.ssa Rovida e sostenuto da un crescente numero di ricercatori e riteniamo importante la massima diffusione del presente commento anche sul web.


Vorrei commentare l’articolo apparso lunedì 18 novembre a firma di Maria Berlinguer e intitolato: “Esperimenti senza animali così l'Italia rischia grosso”.

Premetto subito che combatto qualunque forma di violenza, compresa quella degli animalisti, quindi mi dissocio da messaggi intimidatori o altro. Ciononostante, non posso nascondere la mia contrarietà a certe prese di posizione così assolute da parte di chi fa esperimenti sugli animali e si rifiuta di guardare oltre. Vero che gli esperimenti sugli animali hanno contribuito al progresso, ma siamo nel 2019 ed è lecito farsi delle domande se non sia ora di cambiare metodo per fare ricerca come è avvenuto in tutte le altre discipline scientifiche.

Il discorso in questo senso non è etico. Sappiamo benissimo quanto soffrano gli animali negli allevamenti intensivi ed aggiungerei anche quelli costretti ad esibirsi nei circhi. La questione di cui si vuole discutere riguardo gli esperimenti con animali è puramente scientifica. Lavorare utilizzando sistemi complessi basati su organi e tessuti umani ricostituiti, studiati con le più avanzate tecniche omics e l’applicazione di metodi di calcolo e modellistica dell’ultima generazione significa fare ricerca in modo avanzato e moderno, al passo con i tempi. Questo si fa già all’estero, molto più che in Italia, e questo spinge tanti brillanti giovani ricercatori ad emigrare.

Per quel che riguarda i finanziamenti, bisogna segnalare che le opportunità nel campo delle metodologie che non utilizzano animali sono davvero molte. Per esempio, la Commissione Europea nell’ambito del framework Horizon 2020 ha stanziato complessivamente più di 100 milioni di euro per progetti di ricerca integrati volti a sviluppare metodi senza animali, generalmente chiamati NAM (Nuovi Approcci Metodologici). Tra questi, pochissimi o forse nessuno hanno come leader un gruppo italiani. Tanti italiani partecipano, ma nessuno in qualità di referente capo, proprio perché in Italia mancano infrastrutture e il numero di ricercatori è insufficiente. Ci sono invece parecchi olandesi, come naturale conseguenza del fatto che il governo Olandese si è prefissato lo scopo di diventare leader dei metodi scientifici senza animali entro il 2025 e per raggiungere questo obiettivo sta mettendo in atto una serie di azioni mirate e profumatamente finanziate che hanno creato laboratori di ricerca all’avanguardia. Un altro caso che sta tenendo vivo il dibattito scientifico è l’annuncio dell’americana EPA (Environmental Protection Agency) di non voler più utilizzare mammiferi per valutazioni tossicologiche entro il 2035. Per arrivare a questo traguardo ha immediatamente stanziato più di 4 milioni di dollari per ricerca che si aggiungono alle centinaia già erogati nell’ambito della messa a punto di metodi tossicologici basati su culture cellulari umane (progetti ToxCast e Tox21).

Tutto questo perché si è capito che attraverso gli animali siamo riusciti a fare enormi progressi in campo scientifico, ma è ora giunto il momento di cambiare perché ci sono troppe malattie senza cure e sostanze chimiche che circolano senza un’adeguata caratterizzazione tossicologica e che non possono aspettare i tempi lunghi degli esperimenti con gli animali, ma anche la loro incertezza nel predire effetti molto specifici sull’uomo quali forme neuro-degenerative, cancerogenesi o problemi legati alla riproduzione e allo sviluppo fetale.

“Catastrofe annunciata”? Pensiamo invece che in Italia è già iniziata una lenta agonia da cui possiamo ancora salvarci, perché ci sono talenti e tante realtà attive che hanno però bisogno di sostegno economico e politico per potersi sviluppare.

Le cose da elencare sarebbero molte, ma concludo dicendo che è ora di smettere di piangerci addosso e ritenere che tre misere restrizioni a una direttiva europea siano la causa del problema della ricerca in Italia. Piuttosto rimbocchiamoci le maniche e lavoriamo tutti seriamente verso una ricerca al passo dei tempi, opportunamente finanziata e gestita con intelligenza.


Costanza Rovida CAAT-Europe (Centro Europeo per le Alternative ai Test sugli Animali)

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